Trekking centro storico

Trekking Centro Storico

Viaggio nel tempo tra storia e miti del Centro Storico

Il percorso di Trekking del centro storico rappresenta un vero e proprio un viaggio nel tempo che farà vivere agli escursionisti la storia incredibile di questa città.

Si parte da Piazza Progresso dove è possibile ammirare il Palazzo di Città; la denominazione PALAZZO DI CITTA’ non è casuale ma è stata voluta dai lungimiranti amministratori dell’epoca per rendere l’idea di un Municipio a disposizione del popolo. Questo complesso, costituito dalla torre dell’orologio civico e dal municipio venne realizzato dal famoso architetto Ernesto Basile. Le campane dell’orologio, contenute da una gabbia in ferro battuto, risalgono al 1777 e provengono dall’orologio seicentesco che si trovava nella torre del cosiddetto Castel Nuovo, uno dei tre castelli di Licata. Arrivare alla sommità della torre è possibile attraverso una bellissima scala a chiocciola di pregevole fattura architettonica.

Il viaggio nel tempo inizia e finisce qui; infatti il Palazzo di Città è posto sul confine delle mura della antica città greca e sul punto di partenza dell’espansione cittadina dei tempi moderni.

La prima sosta è dinnanzi a quello che probabilmente è il più sontuoso dei palazzi costruiti all’inizio dell’800 appena fuori le antiche mura della città. Edificato in elegante stile Liberty con colonnato nella parte centrale, rappresenta l’ala avanzata è più moderna del retrostante ed antico palazzo CANNARELLA. Il contatore del tempo ci porta al periodo dello sbarco di Garibaldi in Sicilia: infatti, sbarcato Garibaldi a Marsala, Licata insorge al suo fianco ed invia un proprio drappello di uomini armati al seguito del Generale il quale manda in visita a Licata Ciro Menotti e Nino Bixio; costoro furono ospitati nella notte del 20 luglio 1860 proprio nel palazzo del marchese Cannarella.

Da qui, passando per l’antico borgo di San Paolo, si raggiunge una splendida opera idraulica ipogea di età pre-ellenistica denominata LA GRANGELA, attorno alla quale ruotano tantissime leggende. La Grangela è la più importante e meglio conservata opera di questo tipo, tra tutte quelle che nei secoli sono state costruite sulle falde del monte Sant’Angelo. Si tratta di un pozzo filtrante che doveva fornire l’acqua all’antica città. Si estende verticalmente per 12 metri e continua poi in un vano che attraversa la roccia con una piccola galleria alta 2 metri e lunga 7. Sul fondo della vasca sono presenti tre fosse cui giunge l’acqua raccolta attraverso quattro cunicoli di captazione che si estendono all’interno della roccia non si sa per quanta lunghezza. Si pensa che tali cunicoli siano più di 4, che siano percorribili e che si estendano fino al Castello e al cimitero dei Cappuccini, al porto e addirittura fino a mollarella (15 Km da qui). Per questo la Grangela rappresenta per i licatesi un luogo del mito, e ad essa sono legate diverse leggende e racconti ispirati a culti religiosi perpetrati all’interno finanche alle proprietà afrodisiache dell’acqua in essa presente.

Dalla Grangela è possibile raggiungere facilmente la “THOLOS”, sempre in pieno centro storico. Fino a poco tempo fa era ritenuto un grande silos atto a contenere il grano che veniva commerciato in gran quantità tramite il porto di Licata. Recenti studi, invece, attribuiscono a questo sito la matrice di Tomba e precisamente si tratterebbe della tomba del Re Cretese “MINOSSE” che, venuto a Licata in visita, sarebbe deceduto per un incidente e qui sarebbe stato seppellito. La deduzione deriva dall’analisi di alcune scritte presenti sulla volta della “Tomba” e sulla parete di una porta ora murata. Infatti, da un’analisi anagrammatica delle scritte si risalirebbe al nome Minos, appunto “MINOSSE”.

Attraverso una stretta viuzza denominata Salita Milazzo si sale verso Piano Quartiere. In questa area sorgeva un castello edificato a difesa della muraglia di ponente. Fu distrutto dai turchi nel 1553, si riesce a scorgere ancora ciò che resta delle mura di questo glorioso castello denominato Castel Nuovo. Ciò che restava in piedi venne acquistato dalla municipalità licatese nel 1604 che lo trasformò in Quartiere per i soldati della fanteria spagnola di Comarca a cui Licata era a capo. Terminate le incursioni barbaresche il Quartiere venne smilitarizzato e abbandonato fino a che, nel 1897 il comune ordinò la totale distruzione degli ultimi edifici rimasti in piedi, compreso la torre dell’orologio civico che vi era stato collocato nel 1863 (le quali campane successivamente vennero collocate sulla torre del municipio).

Ci si addenta, attraverso la caratteristica SALITA DELLE CAPRE, nel antico quartiere Marina, detto anche Quartiere Arabo. La vecchia Marina resta oggi importante soprattutto per il suo antico e tortuoso impianto viario, rimasto completamente invariato, caratterizzato in generale da viuzze e da numerosi cortili e piccoli pianori. Al suo interno sono collocate diverse attività consorziate. Il quartiere è formato da strettissime viuzze sulle quali si affacciano dei balconcini molto bassi. Il motivo di queste vie così strette è dettato dal bisogno di difesa che c’era all’epoca delle tante invasioni che venivano dal mare. Infatti gli invasori ingabbiati in queste strette viuzze erano alla mercè dei licatesi che si difendevano buttando addosso ai loro nemici dai balconi dell’olio bollente. La rappresentazione di questa antica metodologia di difesa rivive ogni anno a Maggio e ad Agosto durante le due rappresentazioni della festa del Santo Patrono Sant’Angelo che la tradizione vuole inseguito dai Saraceni invasori per queste viuzze e difeso con il getto dell’olio bollente. Durante la festa, l’argentea bara del Santo portata a spalla dai marinai scalzi e preceduta da una miriade di ragazzini che corrono e urlano per liberarle la strada entra nel quartiere Marina percorrendo la via Sant’Andrea e, durante il suo passaggio, dai balconi le vengono buttati addosso dei petali di rose che simboleggiano l’olio bollente. E proprio nel mezzo della via Sant’Andrea, che rappresenta la prima vera strada costruita dagli Arabi, si trova la casa dove tradizione vuole che dimorò il Santo Patrono della città: Sant’Angelo.

Di fronte alla casa del Santo si ammira lo splendido portale del Palazzo PLATAMONE; del suo sontuoso prospetto oggi resta pochissimo: due poggioli sull’angolo con via donna Agnese con possenti mensoloni terminanti con maschere grottesche, due balconi lungo la via Sant’Andrea sorretti da un unico poderoso mensolone per parte, l’elegante portale dell’ingresso in conci di tufo, finemente scolpiti, smontato pezzo per pezzo in un periodo imprecisato dello scorso secolo per rimetterlo in asse, una volta tagliata una parte del grande androne coperto dal quale si è ricavato un vano al piano terra, con il nuovo ingresso. In corrispondenza della chiave dell’arco stanno le armi araldiche della famiglia Platamone sormontate dalla corona di barone.

L’andamento curvo della via Sant’Andrea dà l’idea di un recinto o di un fossato a protezione dell’antico abitato; anche questa soluzione architettonica, comune anche alle altre viuzze della Marina, fa parte dell’impianto difensivo del quartiere. Infatti, l’andamento curvo dava la possibilità a chi fuggiva correndo di evitare con più facilità le frecce del nemico che, naturalmente, non curvano.

Si giunge davanti alla chiesette di San Girolamo, dal 1578 oratorio e sede della Confraternita della Misericordia che la mantiene ancora oggi. La chiesa custodisce inoltre i sacri legni del cristo crocifero, il Cristo deposto, l’urna lignea e le croci del Calvario utilizzate per la ricorrenza del Venerdi Santo. Infatti da qui la notte del Giovedì Santo parte una sentitissima processione dove si percepisce un ‘atmosfera di sommessa penitenza: i confrati della confraternita sorreggono una delle due statue del Cristo adagiata su un feretro e coperto da un telo nero. Questo Cristo verrà portato all’interno di un sontuoso palazzo a fianco del calvario in attesa di essere messo in croce al posto del Cristo incatenato che sfila il Venerdi Santo per le vie cittadine.

Altra sosta obbligata davanti alla casa di ROSA BALISTRERI, probabilmente una tra le più importanti cantanti folk siciliane del secolo scorso. Rosa Balistreri mori nel 1990 e visse l’infanzia e la giovinezza nella miseria e il degrado sociale nel quale a quei tempi versava il quartiere della Marina. Fin da bambina si dedicò alle più umili attività: servì presso le case di famiglie benestanti e andò a lavorare nella conservazione del pesce nel quartiere Salato, In queste difficili condizioni, Rosa scaricava la sua rabbia e il suo disagio cantando a squarciagola lungo le stradine della Marina. A sedici anni fu data in sposa a “Iachinuzzu”, che lei durante un suo spettacolo a Licata, definì “latru, jucaturi e ‘mbriacuni”. La vita matrimoniale fu ancora più misera e degradante di quella trascorsa nella sua famiglia d’origine, tanto da portarla, in preda alla disperazione, ad aggredire con una lima il marito nella casa di via Martinez, in seguito alla scoperta della perdita al gioco del corredo della figlia. Credendo di averlo ucciso, andò a costituirsi dai carabinieri, affrontando anche la galera. Superati questi dolorosi avvenimenti per Rosa iniziò una periodo di serenità: incontrò il pittore Manfredi, con cui visse per dodici anni, che le diede tanto amore e la possibilità di conoscere grandi personaggi della cultura e dell’arte. Tra i tanti conobbe Mario De Micheli che, estasiato della sua voce, le diede la possibilità di incidere il suo primo disco con la Casa Discografica Ricordi, evento che segnò l’inizio della sua vita artistica. Conobbe e recitò con Dario Fo’. Nel 1973 partecipò al Festival di San Remo. Negli anni ottanta recitò con Anna Proclemer .Canto e recitò la canzone folk in tutti i teatri del mondo.

Attraverso le viuzze che si continuano a percorrere non è raro scorgere dei marinai che svolgono uno dei più antichi gesti del mestiere di uomo di mare: la cucitura delle reti. Parecchie infatti sono le abitazioni dei marinai che hanno nei loro piano terra i laboratori di riparazione delle reti.

Uscendo dal quartiere Marina ci si trova di fronte alla Chiesa Madre. Disegnata verso la fine del 400 dall’arch. Pietro Palatino ed inaugurata nel 1508 fu denominata SANTA MARIA LA NUOVA. Ha forma basilicale a croce latina, con tre navate. A sinistra dell’ingresso è conservato un sontuoso ed artistico fonte battesimale di marmo bianco, eseguito tra il 1498 e il 1499 dal maestro marmoraro Gabriele di Battista da Como. All’interno del Duomo si possono ammirare numerose opere d’arte di grande pregio. Gli affreschi della volta della navata centrale e gli affreschi della volta del transetto, con scene del Vecchio Testamento, e i quattro pinnacoli alla base della falsa cupola sono di Raffaele Politi che li dipinse a partire dal 1824. Alle pareti dell’abside si possono ammirare, a sinistra,”L’ Adorazione dei Maggi”, un dipinto su tela di Fra Felice da Sambuca, a destra, “La S. Natività”, un raro dipinto su tavola del 1572, attribuito all’estro di Deodato Guinaccia.

Entrando nella CAPPELLA DEL CRISTO NERO, contenuta all’interno della Chiesa Madre, si rischia di rimanere veramente senza fiato. Il Cristo, posto alla sommità dell’altare ligneo, è realizzato in pasta di paglia e legno e ha mani e piedi di legno. Questa miscela serviva a renderlo leggero in quanto era appeso nell’arco trionfale della navata centrale della Chiesa. E’ un opera attribuita a Iacopo e Paolo de li Matinali di Messina. La storia dice che nel 1553 i turchi invasero Licata dal mare provenienti da Malta e la prima chiesa che incontrarono fu proprio la Chiesa Madre. La saccheggiarono, misero tutto ciò che trovarono di legno al centro della navata sotto il Cristo appeso e incendiarono tutto. Il Crocifisso, però, seppur annerito, miracolosamente non bruciò e i licatesi, dopo la partenza delle navi ottomane, vistolo annerito e scampato alle fiamme gridarono al miracolo. Proprio la devozione del popolo consentì il restauro della cappella detta del Cristo Nero totalmente rivestita di pannelli di legno e decorata in oro zecchino, curata dal maestro Giuseppe Di Bernardo intorno al 1702, che realizzò un’opera tipica espressione dell’estroso e bizzarro stile barocco, probabilmente una delle opere più belle della Sicilia.

Uscendo dalla Chiesa Madre ci si trova di fronte al prospetto del palazzo DOMINICI, sovrastato dallo splendido stemma della famiglia nobiliare posto sul prospetto principale. L’importanza del palazzo è data dal fatto che al suo interno nacque San Giuseppe Maria Tomasi, compatrono di Licata. Passando davanti ad un altro dei tanti palazzi FRANGIPANE disseminati per il centro storico si giunge dinnanzi al palazzo CANNADA; la sua edificazione risale al periodo tra la fine del 600 e l’inizio del 700. Sopra l’arco è posto lo stemma della famiglia: un vaso fiorito inserito nel petto di un’aquila bicipite. Transitando per l’ospedaletto, antico ricovero di malati terminali, e davanti al museo civico, si raggiunge piazza Sant’Angelo. Questa rappresenta l’unica piazza di Licata progettata proprio come piazza. Attorno alla piazza sono posizionati: la chiesa eretta in onore del Santo Patrono Sant’Angelo, il complesso conventuale di Sant’Angelo (che ospitò ai tempi dei garibaldini la compagnia capitanata da Edmondo de Amicis), che racchiude al proprio interno uno dei più bei chiostri di Licata, la chiesa del S.S. Salvatore con un campanile di pregevole fattura mista Gotica/Barocca e una serie di ricchi palazzi nobiliari tra i quali spicca PALAZZO BOSIO. Si tratta di una costruzione edificata nella 2a metà del 600, che si sviluppa in lunghezza e chiude la grande piazza sul lato settentrionale. Il suo prospetto barocco è nobilitato da raffinati elementi decorativi. Parte del prospetto, quella che si conclude con la via D’Annunzio, è stato manomesso ai primi del novecento con l’aggiunta di una sopraelevazione che ne ha compromesso la generale armonia e l’unità artistica. La parte originale del prospetto, con i suoi balconi al piano nobile, è spartita da tre lesene su alti plinti, terminanti con capitelli corinzi di ordine composito. Assai singolari sono i due artistici portali, di uguale disegno e di uguale pregio, uno portava agli appartamenti del piano nobile, l’altro alle scuderie e ai magazzini. Nel fastigio del balcone principale è inserito lo stemma della famiglia.

E’ d’obbligo la visita alla splendida chiesa di Sant’Angelo, chiesa del 600 dedicata al Santo Patrono della città, il quale in questo luogo nel maggio del 1220 subì il martirio per mano del regio castellano della città, tal Berengario La Pulcella. Ha una struttura basilicale a tre navate; le dodici colonne delle navate provengono dalle cave di Billieme. Nella navata di sinistra meritano particolare attenzione i dipinti della Madonna della Lettera e dell’Ecce Homo e la scultura in legno policromo di San Francesco di Paola del XVI secolo. Assai interessante e prezioso è il tesoro della chiesa, costituito da numerosi pezzi d’argento, opera dei maestri argentieri locali del XVII secolo. Vi si ammira oggi il pozzo miracoloso, dove sarebbero state scoperte le reliquie di Sant’Angelo, realizzato con una artistica balaustra ottagonale nel 1673 dal maestro marmoraro trapanese Giovanni Romano: il mito del Pozzo Miracoloso racconta che nel XIV secolo i Licatesi si accorsero che in un luogo presso la chiesetta dei Santi Apostoli Filippo e Giacomo, indicato come il luogo dove subì il martirio Sant’Angelo, scaturiva dell’olio di celeste fragranza che guariva quanti ne facevano uso. Qualche tempo dopo, cessato questo prodigio, una donna vi avrebbe trovato un candido giglio che, raccolto, rispuntò il giorno dopo e nuovamente reciso nacque ancora per la terza volta. Il quarto giorno i fedeli, incuriositi da questo evento miracoloso, scavarono e, in quel posto, rinvennero le ossa di un frate che attribuirono subito a Sant’Angelo. Rimosse le reliquie scaturi una fonte la cui acqua, nitida e dall’odore soave, il giorno della festa del Santo Patrono arrivava fino all’orlo del pozzo, che allora era delimitato da gradini di pietra, ed operava prodigi. L’acqua, per i suoi effetti miracolosi veniva spedita in anfore sigillate col sigillo del Magistrato di Licata alle città e alle provincie vicine per consentire anche a loro di godere dei suoi prodigi. Ancora oggi si racconta che il giorno del 5 maggio l’acqua, normalmente salata, diventa miracolosamente dolce. Sul puteale si trova la delicata statuina (cm. 52) in marmo bianco venato di Sant’Angelo sul letto di morte.

Costeggiando il convento di San Francesco, all’interno del quale è racchiuso un altro degli splendidi chiostri di Licata, incontriamo piazza Elena, piazza che interrompe la via principale dell’ANTICO CASSERO, anch’essa circondata da palazzi nobiliari tra i quali spicca Palazzo Celestri. Appartenne alla omonima famiglia, insignita del titolo di marchesato. Il suo impianto monumentale, certamente del 600, oggi a tratti leggibile, per le vistose manomissioni subite, soprattutto nel 900, si sviluppa lungo via Collegio, via Signora e Piano Levano e confina con quello che resta del palazzo dei baroni Trigona. Della sua splendida architettura resta solo il suo maestoso portale costituito da un arco a pieno centro sostenuto da due poderose colonne. Lo stemma della famiglia, una mezza luna in campo azzurro fa la funzione di chiave dell’arco.

Una visita allo splendido teatro Re Grillo è obbligatoria. Prima di concludere il percorso descritto c’è ancora tempo per un’ultima forte emozione, che si prova dall’ammirazione dello splendido prospetto del più importante dei PALAZZI FRANGIPANE. Questo è sicuramente il più sontuoso dei palazzi della famiglia frangipane, edificato nel ‘700, oggi sede della Banca Popolare Sant’Angelo. La sua artistica facciata barocca, scandita da lunghe e larghe lese bugnate si apre in sette balconi sostenuti da mensoloni terminanti in buffe maschere, che rappresentano demoni alternati ad angeli. Fastoso è il portale dell’ingresso principale che immette in un grande cortile, parte voltato e parte a giorno, dove uno artistico scalone che conduce agli appartamenti del piano nobile, oggi non più esistenti, si conclude di una bellissima finestra bifora anch’essa adornata da demoni e angeli. Il viaggio nel tempo si conclude nuovamente davanti al Palazzo di città.

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